Ho avuto la sorte di conoscere personalmente Josè Dalì quando ho deciso di portare avanti la corrente pittorica fondata da mio padre Franco Fragale, L’Effettismo e lui ha acconsentito a farne parte.
Ho cooptato alcuni artisti che avessero la capacità di esprimersi in chiave pittorica emozionale e che avessero anche alcune caratteristiche peculiari. Noi 13 Effettisti siamo pittori, ma anche scrittori, alcuni scultori, alcuni fotografi, alcuni hanno avuto importanti vite professionali, giudici, avvocati, giornalisti, sociologi, matematici, attori, musicisti.
A mio avviso essere Effettisti è un modo di essere prima che di dipingere. I vissuti complessi sono pregni di suggestioni e consentono narrazioni autentiche sulla tela.
Dopo avere apprezzato le opere di arti figurative di Jose’, ho letto i suoi libri, dapprima un suo libro di poesie, ‘Dedicato a te’, che mi ha riconciliata con la Poesia.
Ed ora ho letto la sua prima autobiografia. Non per recensirla, ma perché ho apprezzato il dono del mio nuovo Amico. Ma ora sento di volerla raccontare.

Lui così narra: Josè è figlio di Salvador Dalì e Gala. La madre, all’epoca della sua nascita, avvenuta in Francia, era formalmente la moglie di Paul Eluard.
Nella cattolica Spagna non era ammesso avere figli fuori dal matrimonio. Il bambino venne tenuto in segreto.
In uno dei viaggi in Italia della famosa coppia incontrarono a Verona una coppia, i Rossi, i quali per una contingenza, tennero il bambino e la sua tata per un breve periodo. La vita dei Dalì era un susseguirsi di viaggi, di mostre, di incontri straordinari, di fatto inconciliabile con la presenza di un infante.
Per una serie di circostanze, prima tra tutte il fatto che i suoi genitori naturali non potevano ancora regolarizzare la loro unione, il piccolo passava solo le vacanze estive a Cadaques, dai Dalì e in inverno era affidato alla famiglia Rossi. Ma tale divenne l’affezione filiale verso il bambino che la famiglia Rossi fece sapere che Josè era deceduto. Passarono gli anni e tante traversie, finché Josè rincontrò i genitori naturali quando già i membri della Fondazione erano stati investiti dei diritti del padre. Intuibili quali problemi avrebbe potuto causare l’improvvisa presenza di un erede.
Purtroppo lo stato di salute del Padre si aggravò ineluttabilmente, anche con forme di patologie che all’ultimo gravemente dimidiarono la sua capacità di intendere e volere. L’ultimo incontro avvenne sul letto di morte, ma dalla foto si leggono gli occhi di entrambi ormai perduti.
Josè ha una lapide nel giardino della sua casa Museo in Italia, dove è indicata la data della sua morte, unisona a quella del padre.

Le azioni giudiziarie seguite per acquisire i diritti furono da subito segnate dalla disparità di possibilità economiche tra lui e la Fondazione Dali’.

Ho letto le 368 pagine della sua autobiografia, corredata da una corposa appendice di foto e documenti attestanti la veridicità del narrato, in un solo fiato.

Mi sono emozionata per potere avere accesso privilegiato ad un interessante spaccato di vita sociale e storia dell’arte insieme, il rifiuto per i figli ‘illegittimi’ se nati fuori dal matrimonio, la favolosa figura di Gala, donna niente poco di meno dei due giganti Paul Eluard e Salvador Dalì, gli anni dello sviluppo economico nell’Italia del dopoguerra.

Grandi gli spaccati emotivi donati dall’Autore che riesce con lievita’, senza compiacimento, a narrare una storia di abbandono, di rivalsa, di fiducia nelle proprie capacità.
Di totale assenza di rancore. Non prova rabbia per le mancate opportunità, ce la fa da solo, perché il talento lo ha ereditato.
Non si percepisce rabbia, ne’ verso i genitori naturali che comunque, se pur coatti dalle avverse circostanze, non lo hanno tenuto con loro, ne’ verso i genitori affidatari che lo hanno dichiarato morto, pur di radicarlo con loro.
Comportamenti entrambi sindacabili, forse, ma da Lui accettati, non obiettati, semplicemente constatati, non subiti.
Il suo nuovo, intimo, favoloso mondo, pieno di creature sublimi che come per magia piano piano hanno riempito quel vuoto esistenziale scaturito dai suoi occhi smarriti abbracciati agli occhi smarriti del Padre moribondo, è formato da personaggi speciali.
Tutti sembrano seguire la stessa musica, la stessa poesia, tanto nella sua narrazione scritta quanto nella vita reale, che ho avuto l’onore di constatare.
La filosofa modella ironica e genialoide moglie Barbara, i loro figli pelosi, sono personaggi fiabeschi. Non mi sarei stupita di incontrare a casa loro un Elfo, uno Gnomo, una Fata.
Non li ho incontrati, ma ho dovuto impattare sulla mole sconfinata di opere d’arte che sono la loro casa, che pare non avere pareti o soffitti, ma solo quadri, dal figurativo all’optical, al materico, alla pittoscultura, acqueforti…tutte emozionanti e ognuna costituente un mondo a parte, un intenso racconto.

L’autobiografia, che l’autore definisce ‘un romanzo scritto dalla vita’ è magistralmente scritto, anche nelle parti dove dettagliatamente descrive luoghi, persone, situazioni, circostanze, testimoni che danno valenza probatoria senza appesantire la narrazione.
Il suo stile è forbito ma mai pedante. Ci sono pochi riferimenti a date, come se il tempo non fosse poi particolarmente rilevante, credo in stretta coerenza col sentire filosofico dello scrittore, che ammette la vita e il Creato come un Dono, da sindacare solo se assolutamente indispensabile.

Francesca Romana Fragale
Vicepresidente dell’Accademia Internazionale d’Arte Moderna e direttore del Notiziario. Membro della Giuria del premio Medusa Aurea, sezioni arti figurative e Narrativa. A capo dell’Effettismo.